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L'impressionante rally dei mercati azionari registrato finora quest'anno nella maggior parte dei paesi sviluppati ha spiazzato molti investitori. La battaglia contro un'inflazione incessantemente in aumento ha costretto le banche centrali a inasprire massicciamente le condizioni finanziarie, come nel caso specifico della Fed, che ha avviato il suo più aggressivo ciclo rialzista da decenni a questa parte. A fronte dell'aumento dell'incertezza economica e della contrazione della liquidità, il sentiment ribassista è notevolmente aumentato, con una potenziale recessione che sarà probabilmente la più attesa nella storia degli Stati Uniti.
Tuttavia, non è questo il messaggio trasmesso dai mercati, con gli attivi rischiosi che hanno guidato la performance dall'inizio dell'anno negli Stati Uniti: le azioni sono in rialzo di circa il 10% (essenzialmente trainate dal settore tecnologico), seguite dalle obbligazioni high yield (+3,6%), da quelle investment grade (+2,8%) e sovrane (+2,4%) e, infine, dalla liquidità al +2%. Chiaramente, si tratta dell'inverso di ciò che sarebbe tipico di un contesto recessivo. Solo le materie prime, con un calo superiore al 10%, hanno segnalato una potenziale flessione delle prospettive economiche, con prezzi attualmente inferiori al livello prevalso prima della guerra in Ucraina.
Messaggi contrastanti mettono in discussione le previsioni
Quindi a che punto siamo? Sta davvero per materializzarsi un atterraggio economico (duro) ampiamente previsto o è solo un'illusione? Gli indicatori economici stanno mandando segnali contrastanti, innanzitutto con una divergenza tra i dati quantitativi (misure statistiche effettive come il PIL, il tasso di disoccupazione, ecc. che generalmente tendono a essere retrospettivi) che restano stabili e i dati qualitativi (indagini aziendali, fiducia dei consumatori, ecc.) che suggeriscono debolezza economica e sono più lungimiranti.
Analizzando questi ultimi, tra i numerosi indicatori principali comunemente utilizzati per valutare la direzione del ciclo economico, gli indici PMI (Purchasing Manager Index) sono probabilmente i più accurati. È importante ricordare che si tratta di sondaggi mensili effettuate su responsabili di acquisti e approvvigionamento di centinaia di imprese di vari settori, che rispondono a domande relative a diverse sottocategorie (produzione/attività commerciale, prezzi pagati, ecc.), e che si traducono in indici di diffusione secondo i quali 50 è la soglia al di sopra del quale le condizioni commerciali risultano in miglioramento e, allo stesso modo, al di sotto della quale sono in contrazione.