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Dall’inizio dell’anno, il rendimento dei Treasury decennali statunitensi è aumentato, passando dal 2,4% al 3,1% e portando la performance cumulativa annua di questo asset, considerato da più di trent’anni a bassissimo rischio, oltre il -4%.
Nel primo trimestre 2018, per la quinta volta soltanto in vent’anni e per la prima volta da circa dieci anni, le obbligazioni sovrane americane hanno registrato un calo insieme alle azioni di oltre l’1%. Più in generale il numero dei ribassi simultanei di azioni e obbligazion nei paesi sviluppati tende ultimamente ad aumentare. Siamo dunque alla vigilia di un cambiamento epocale nel rapporto azioni/obbligazioni che potrebbe avere maggiori ripercussioni sui portafogli multi-asset, chiamati anche “bilanciati”?
L’allocazione di portafoglio è l’essenza stessa del dilemma che devono affrontare la maggior parte degli investitori. Ed è il fulcro del mestiere di gestore patrimoniale. L’obiettivo del processo di allocazione è di ottenere una diversificazione che consenta di ridurre il rischio di portafoglio e ottenere un rendimento ponderato per il rischio ottimale. Ne risulta quindi che i vantaggi della diversificazione dipendono dai rapporti tra le classi di attivi, misurati in particolare dal concetto statistico di correlazione che determina il segno e la forza del rapporto tra due variabili. La validità del processo di costruzione del portafoglio si basa pertanto in gran parte sulla correlazione tra azioni e obbligazioni, le due componenti principali dei portafogli bilanciati. In una situazione ideale, questa correlazione sarebbe negativa, consentendo alle obbligazioni di compensare parzialmente il calo delle azioni, limitando così la volatilità del portafoglio. Inoltre il contributo negativo delle obbligazioni al rendimento del portafoglio durante le fasi di rialzo delle azioni/ribasso delle obbligazioni dovrebbe restare marginale.
In generale da oltre vent’anni, la correlazione tra azioni e obbligazioni è negativa nella maggior parte delle economie sviluppate. Gli investitori multi-asset hanno pertanto potuto contare sul comportamento complementare delle azioni e delle obbligazioni (lo yin e lo yan dei mercati finanziari), che consentono di ridurre nel contempo sia la volatilità sia il rischio di subire perdite. In aggiunta, lo spettacolare mercato rialzista osservato per le obbligazioni da oltre trent’anni ha permesso questa riduzione del rischio con un costo trascurabile in termini di rendimento. Dal 2000 i benefici della diversificazione azioni/obbligazioni sono stati particolarmente degni di nota durante le crisi finanziarie (2000-2002, 2007-2009), con l’allocazione obbligazionaria che agiva come un importante stabilizzatore di portafoglio.
Questo regime di correlazione negativa che prevaleva da decenni ha gradualmente portato i gestori di portafoglio a contare sui vantaggi in termini di diversificazione forniti dal mix azioni/obbligazioni, fino a considerarlo come verità assoluta esemplificata dal concetto “flight to quality”. Secondo questo ragionamento, diventato una specie di dogma, le obbligazioni sono sempre inversamente correlate alle azioni e devono pertanto essere il primo, e spesso l’unico, parametro di misura della gestione del rischio. Come sottolineato da Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia specialista di finanza comportamentale, le persone hanno un bisogno naturale di comprendere il mondo tramite concetti semplici, che possono a volte ostacolare un processo decisionale razionale. Come ogni dogma, questo sistema di pensiero è dannoso, tanto più che la finanza resta una scienza umana.
La realtà finanziaria è ovviamente molto più complessa e riconoscere che le correlazioni non sono immutabili e possono modificarsi è essenziale per il processo di costruzione del portafoglio. Le sovrabbondanti ricerche accademiche in materia hanno rivelato almeno quattro tipi di correlazioni azioni/obbligazioni negli Stati Uniti negli ultimi novant’anni, tutti caratterizzati da un contesto macroeconomico particolare e perduranti per vari decenni. Dalla crisi finanziaria mondiale, l’intervento massiccio delle banche centrali con i loro programmi di allentamento quantitativo ha fortemente interessato alcune variabili economiche che influenzano il livello di correlazione azioni/obbligazioni. Un’ipotesi che emerge dai recenti studi condotti è che l’inflazione e la sua volatilità svolgono un ruolo determinante nel rapporto azioni/obbligazioni. Da un lato, un aumento dell’inflazione ha un impatto negativo sulle obbligazioni a tasso fisso e, dall’altro, l’incertezza macroeconomica generata dalla volatilità dell’inflazione influisce negativamente sulle valutazioni delle azioni.
Nel contesto attuale di riduzione delle misure di stimolo monetario a livello mondiale e di ciclo economico maturo, ci sembra probabile una normalizzazione di alcuni di questi fattori economici: graduale aumento dell’inflazione, maggiore volatilità dell’inflazione e dei dati macroeconomici, regime di volatilità delle azioni superiore nonché aumento dei tassi a breve termine. In questa situazione possiamo quindi presumere di vedere aumentare la correlazione azioni/obbligazioni e diminuire la capacità di diversificazione delle obbligazioni. Dato l’attuale livello dei rendimenti obbligazionari, che nel 2016 sembrano aver toccato il minimo secolare, e la loro tendenza ad aumentare, la capacità delle obbligazioni di compensare un ribasso delle azioni diminuisce e la classe di attivo potrebbe persino penalizzare il rendimento del portafoglio. In un portafoglio bilanciato sarebbe necessario, ad esempio, un calo di 120 punti base (ossia un ritorno sotto il 2%) degli attuali tassi decennali statunitensi per compensare una perdita del 10% delle azioni. Nell’eurozona la situazione è diversa con una correlazione azioni/obbligazioni positiva già da oltre tre anni e rendimenti obbligazionari molto poco attrattivi. Di conseguenza, la maggior parte degli investitori è già fortemente sottoponderata in questa classe di attivi che, nonostante ciò, ha comunque guadagnato più del 3% in questo periodo.
Qualora le qualità di diversificazione delle obbligazioni dovessero venire meno, si porrebbe l’interrogativo se escluderle oppure no dal portafoglio bilanciato. Tanto più che altre fonti di diversificazione e altri meccanismi di gestione del rischio sono ormai accessibili alla maggior parte degli investitori. Queste fonti alternative di diversificazione possono inoltre avere dei punti di forza non trascurabili: valutazioni interessanti, costanza della scarsa correlazione o della correlazione inversa con le azioni, potere di diversificazione che aumenta durante le fasi di ribasso delle azioni. Tra questi strumenti citiamo, a titolo di esempio, alcune strategie alternative (strategie di arbitraggio), alcune coppie di valute (short AUD/JPY), le strategie long sulla volatilità, e alcune strategie di valore relativo sulle azioni (long sui settori difensivi/short sul mercato).
La correlazione azioni/obbligazioni, pietra angolare della costruzione dei portafogli bilanciati classici, è instabile nelle diverse congiunture economiche e gli investitori farebbero meglio a non dare per scontato che le obbligazioni continuino a proteggere la loro esposizione azionaria in futuro. Sebbene non riteniamo imminente un ritorno a una correlazione positiva tra azioni/obbligazioni che richiederebbe una sostanziale rielaborazione delle allocazioni di attivi strategiche, sembra senza dubbio più prudente non lasciarsi cogliere impreparati e considerare questa correlazione come nulla. Alla fine, conservare un mix classico azioni/obbligazioni come fonte principale di diversificazione e di riduzione del rischio significa ritenere implicitamente che il regime di correlazione negativa vigente da oltre vent’anni perdurerà. Eppure i cambiamenti di tipo di correlazione, fenomeno di lungo termine in generale, potenzialmente fanno danni maggiori dell'aumento della volatilità. Gli investitori multi-asset dovrebbero prendere in considerazione fonti di diversificazione alternative, in modo da mantenere il portafoglio realmente "bilanciato". Consideriamo inoltre essenziale completare questa nuova diversificazione con una gestione attiva del rischio.